
Nel ’74 viene assegnata all’artista siciliano la cattedra al Liceo Artistico di Roma. Perso nel caos della Capitale, Gianbecchina si serve dei suoi quadri per narrare e narrarsi delle belle favole; come questo quadro carico di presagi, sofferenza e ruvido amore materno.

Ormai la lotta è finita, ha vinto l’uomo. Grassi tonni vengono tranciati, fatti a pezzi nel bancone del mattatoio. Il sangue schizza ovunque; vengono eliminate le parti che non servono. La visione dell’artista è altamente cruenta.

Non solo vita contadina ma anche pescatori impegnati nella dura e feroce battaglia che è la mattanza; il colore rosso di questo disegno ben si presta a raccontare l’affascinante e cruento spettacolo della lotta tra la vita e la morte.

I tempi si sono calmati, Gianbecchina torna ad essere esclusivamente il pittore del sociale. Segue i contadini in ogni lavoro, la sua pittura si fa più attenta al particolare. In questo dipinto è stato colto un momento della giornata lavorativa passata nell’intimo orto.

Il lavoro dei campi è strettamente collegato alle stagioni. Questo, Gianbecchina lo sa bene. È cosi che segue e documenta il ciclo che regola i raccolti. In questo dipinto il fuoco scoppiettante annienta ciò che resta del grano colto e prepara il terreno a una nuova vita.

Questo dipinto è un mixage ben riuscito tra la necessità dell’informale (che ancora interessa l’artista) e la voglia di tornare al figurativo più classico. Il fondo del quadro è dato in pennellate veloci e rarefatte mentre in primo piano le ragazze sono più curate e descrittive.

L’autore riprende i contatti con il mondo della campagna. Questo gruppo, che richiama il tema delle tre età della donna, ci porta ad una realtà ben diversa da quella cittadina; qui anche una ragazza porta i segni del sole e del duro lavoro.

Non sono le donne dei campi, segnate dal lavoro, ma ragazze fresche, moderne, amanti della vita e dell’amore quelle qui rappresentate. È il periodo per Gianbecchina degli “amanti”, del vento che scompiglia i capelli. Il mondo è in grande fermento e lo è anche la sua pittura.

Il numero sembra che sia diventato una costante nell’opera di Gianbecchina. Qui tre colombi danzano nell’aria in tre tonalità differenti; le ali spiegate si sovrappongono e si stagliano nel cielo rosa in una rappresentazione gioiosa della vità.

In questo disegno, che contiene tre figure singole, c’è il piacere di rappresentare il corpo femminile, le sue forme, le rientranze nell’età più bella. Il disegno ricomincia a essere curato: non solo macchie di colore ma anche decisi tratti.

Passato il periodo astratto, Gianbecchina si riappropria della forma anche se la tratta ancora in maniera molto libera. In Nudi la composizione riprende il motivo delle “tre Grazie” in una danza nella quale i corpi sono resi dal contrasto tra luce (figure)e sfondo.

Questo quadro, che riprende un tema molto caro al mondo classico, precede quello che sarà il periodo astratto. Nell’opera già si nota la rarefazione delle forme, la linea di contorno è svanita e figure e spazio quasi si fondono. Le pennellate “scapigliano” i colori rendendoli crepitanti.